"Il 25 aprile, l'anniversario della liberazione, è una data con un significato importante perchè la resistenza partigiana è stata una lotta di liberazione contro gli orrori della guerra, contro i nazionalismi, contro gli eccidi, contro l'arroganza del potere, contro i massacri di esseri umani, contro una visone "oscura"  della società. È stata una lotta per la vita, per la libertà, per i diritti per l’uguaglianza, per vivere in pace". Scrive così Piero Scutari in una lettera aperta dal titolo "per non dimenticare".

Piero è figlio della partigiana e patriotta Bruna Dradi, combattente a Ravenna ma subito dopo trasferita in Basilicata, a Pignola (Potenza), per continuare il suo percorso di impegno politico e civile.
 
Riconosciuta come patriotta dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri e capo nucleo di nove uomini, è stata la prima donna, partigiana, nella storia della Repubblica Italiana,  a ricevere il grado di sergente.

"All’età di 17 anni - racconta Piero Scutari - decise di aderire alla resistenza, consapevole di mettere a repentaglio la propria vita, dopo aver assistito, impietrita dal dolore, ai misfatti, ai danni e alle distruzioni che la dittatura e la guerra creava per tutti, partendo da quell’ideale di  libertà e desiderio di pace si spinse alla lotta partigiana. Sì - continua Piero - è stata una lotta, un sogno, un ideale, un impulso forte di combattere, per costruire una società basata sul rispetto tra esseri umani, della persone, rispetto delle differenze di pensiero, il sogno di edificare uno Stato dove far prevale l'amore e non l'odio, le uguaglianze e non le disuguaglianze, la pace e non la guerra.  

Questo è quanto mi insegnavano e spiegavano con vitalità mia madre e mio zio, partigiani combattenti, che misero in gioco le loro vite, che affrontarono la morte e il fuoco dei nazifascisti, perchè credevano in questi valori, in questi sogni ed è per questo che migliaia di giovani sacrificarono la loro esistenza, per fermare un nemico oscuro, ignorante, malvagio, privo di umanità e di rispetto per la vita".

Bruna Dradi nasce ad Alfonsine, in provincia di Ravenna, nel 1929. Sulle colline del ravennese partecipa alla resistenza con i delicati incarichi di collegamento e informazione. Dopo la liberazione, nel 1950, su commissione del Partito Comunista, si trasferisce in Basilicata, con lo scopo di contribuire alla crescita culturale e alla emancipazione femminile della regione. Qui è tra le fondatrici dell'Unione delle donne italiane, sempre in primo piano in difesa delle donne e delle condizioni delle lavoratrici. Muore nella terra in cui ha scelto di vivere, in Basilicata, nel 2010.

Memorabili sono le sue parole in uno degli ultimi incontri con gli studenti lucani: "Pur non impugnando mai le armi, ho combattuto con tenacia per sostenere la lotta per la liberazione del Paese. Ho partecipato a pieno titolo alla resistenza dandole il senso di resistenza civile, piuttosto che di guerra di resistenza. Ai miei figli e ai miei nipoti racconto spesso di quegli anni che hanno segnato la mia vita. Penso che ancor prima di gridare "pace, pace" bisognerebbe impegnarsi nella vita di tutti giorni per renderla reale".

La sua testimonianza vive, ancora oggi, nelle parole del figlio Piero, che scrive: "La guerra, il nazifascismo, la brama del potere, l’avidità, ha prodotto orrori, trucidando e falciando milioni di vite umane. La resistenza dei partigiani era una lotta contro la crudeltà e malvagità del potere, nella speranza di lasciare alle future generazioni un mondo migliore, un mondo di pace. La resistenza non avvenne per speculazioni politiche o bandiere di partito, non si è trattato di un derby ma di una lotta tra la vita e la morte, dove ha vinto la speranza. Non lasciamo che l’oblio, la dimenticanza, riconduca all’oscurità".